La Fenomenologia
dello spirito è un’opera scritta da Hegel nel 1806, durante la battaglia di
Jena, in cui Napoleone sconfisse gli eserciti della Prussia e dei suoi alleati.
In quei giorni, Hegel si trovava in pericolo: la sua casa fu saccheggiata dai
soldati. L’opera è una sorta di percorso che riguarda sia la coscienza
individuale che le istituzioni collettive. È un modo per ripercorrere la storia
del pensiero e della società, conservando il passato senza disperderlo, in
vista di un nuovo inizio. Un capitolo importante dell’opera tratta del rapporto
tra signoria e servitù, noto anche come il rapporto servo-padrone. Questo tema è
stato molto discusso nel Novecento, soprattutto grazie a un filosofo russo,
Alexandre Kojève, che negli anni ‘30 insegnava in Francia e aveva influenzato
figure come Jean-Paul Sartre, Maurice Merleau-Ponty e Jacques Lacan. Tuttavia,
l’interpretazione di questo rapporto è spesso distorta. L’opera si conclude con
un capitolo, Il sapere assoluto, che è stato spesso frainteso.
Molti credono che Hegel affermi di aver compreso tutto e di aver concluso la
filosofia, ma il suo vero intento era quello di proporre un nuovo sapere,
libero dai vecchi condizionamenti, per permettere un nuovo inizio. Hegel non
parla di una relazione personale tra padrone e schiavo, ma del processo
attraverso il quale si forma l’identità umana e la consapevolezza di sé.
Descrive come ogni individuo passa dalla subordinazione alla libertà, in un
percorso che, secondo Hegel, riflette l’evoluzione storica dell’umanità,
specialmente quella europea. L’opera fu poi pubblicata nel 1807.
Hegel
aveva appena tenuto la sua ultima lezione all’Università di Jena, il 18 ottobre
1806, in cui spiegava il senso complessivo della sua opera. Secondo lui, tutto
ciò che esisteva fino a quel momento si stava dissolvendo. Le vecchie strutture
del mondo stavano crollando, soprattutto a causa della Rivoluzione francese e
delle guerre napoleoniche. Hegel percepiva che si stava preparando un grande
cambiamento, in cui tutto sarebbe stato riorganizzato.

Uno dei problemi affrontati è come l’umanità sia uscita
dallo “stato di minorità”, per usare un’espressione di Kant. Oggi, la
parola “libertà” è usata così spesso che ha perso un po’ del suo vero
significato. Originariamente, essere liberi significava non dipendere dalla
volontà di un altro e non essere soggetti al suo potere. Allo stesso tempo, la
libertà implica anche il lato doloroso della servitù. Questo stato di
sottomissione, però, ha anche un lato positivo: avere qualcuno che ci comanda,
o che prende decisioni al posto nostro, cosa che Hegel considera necessaria.
Hegel non si riferisce solo alla schiavitù dell’antichità,
ma include anche altre forme di servitù, come quella dei servi della gleba o
dei valletti, tutte situazioni in cui le persone erano obbligate a obbedire.
Questa sottomissione, che sembra una condanna, è stata spesso vista anche come
un modo per evitare responsabilità. Infatti, c’è un piacere nel servire, perché
essere sottomessi significa poter delegare le proprie responsabilità e
diventare semplicemente uno strumento nelle mani degli altri.


Nel diritto romano, ad esempio, il giurista Gaio divideva
le persone in due categorie: persone e cose. Uno schiavo, avendo perso la sua
libertà, veniva considerato una “cosa”. In alcune culture, lo schiavo
poteva persino essere ucciso senza conseguenze. Poiché lo schiavo era anche uno
strumento di produzione, come una macchina oggi, non era conveniente
privarsene.

Hegel descrive il percorso che ha portato all’uguaglianza
tra tutti i cittadini, partendo da questo rapporto di subordinazione. Questo
rapporto nasce attraverso il conflitto, che ha fatto uscire l’uomo
dall’animalità. Gli animali, infatti, tendono istintivamente a proteggere la
propria vita, ma le società umane si formano e si sviluppano quando c’è una
lotta per la vita o la morte.
Lo schiavo, secondo Hegel, è colui che, per paura di
morire, preferisce sottomettersi a un padrone piuttosto che combattere per la
propria libertà. In questo senso, la schiavitù è il risultato della mancanza di
coraggio. Ma è anche l’espressione della scelta di vivere, anche se sottomessi,
piuttosto che morire.
Questo modello hegeliano ha radici in una lunga
tradizione di pensatori, che va da Aristotele a Thomas Hobbes, fino a
Jean-Jacques Rousseau e persino Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais. Beaumarchais
è l’autore del Barbiere di Siviglia. In una sua opera, censurata e bruciata,
Beaumarchais racconta la storia di un servo che si ribella a un nobile,
opponendosi al suo diritto feudale di abusare delle fanciulle prima del
matrimonio.
Nel Barbiere di
Siviglia, il personaggio del servo è più intelligente del padrone, un’idea che in passato era difficile da accettare. Hegel ammirava molto Gioachino
Rossini, il compositore dell’opera, perché credeva che, attraverso la risata,
Rossini chiudesse un’epoca storica: quella dell’Ancien Régime e del
feudalesimo. Secondo Hegel, questo problema filosofico parte con Aristotele.

Aristotele, nel suo libro Politica, distingue due sfere:
la casa e la città. La casa non è solo una casa fisica, ma include la famiglia,
gli schiavi e la proprietà. In questo contesto si riproduce la vita biologica e
la casa è un luogo di disuguaglianza, dove il marito comanda sulla moglie, i
genitori sui figli e i padroni sugli schiavi. Questo sistema di disuguaglianza
è necessario per mantenere la vita fisica.
Al di fuori della casa c’è la città, dove si svolge la
vita politica, caratterizzata dall’uguaglianza dei cittadini, che all’epoca
erano solo uomini liberi, non schiavi. Il concetto di libertà, originariamente,
significava non essere soggetti ad un padrone esterno, ma anche “crescere
senza ostacoli”. Questo concetto era collettivo, legato alla comunità e
non all’individuo, come lo intendiamo oggi. Solo in tempi moderni la libertà è
diventata un concetto più individuale.

Per Aristotele, nella città i cittadini liberi
partecipano attivamente alla vita politica. Invece, Hobbes sostiene che
l’umanità è uscita dallo “stato di natura” (un periodo in cui le
persone vivevano senza società e chiunque poteva essere ucciso da chiunque altro)
attraverso la creazione di una gerarchia. In cima a questa gerarchia c’è il
sovrano, che garantisce la pace attraverso la paura, poiché credeva che gli
esseri umani fossero malvagi per natura e guidati da una fame insaziabile anche
per il futuro. Hegel riprende quest’idea di gerarchia e potere come passaggi
necessari per arrivare alla libertà.
Rousseau, un altro filosofo importante per Hegel, ha una
visione diversa: le società non nascono solo dalla paura, ma dall’introduzione
della proprietà privata, quando qualcuno dichiara “questo è mio” e
inizia a escludere gli altri. Questo processo, pur creando disuguaglianze, ha
comunque permesso lo sviluppo della società.
Infine, Hegel si rifà anche a Kant. In Kant, l’idea
centrale è l’uscita dallo “stato di minorità”, cioè il passaggio
dall’obbedienza passiva a una condizione in cui gli uomini pensano e agiscono
autonomamente. Secondo Kant, molte persone, anche se adulte, restano “minorenni” nel senso che continuano a essere passivamente
influenzate dalle idee e dagli ordini degli altri, senza pensare con la propria
testa.
Hegel, pur ammirando l’idea illuminista di Kant di
liberare gli uomini dalla paura del potere, critica il fatto che le persone
spesso accettano di obbedire a un’autorità anche quando non ce n’è un vero
motivo. Hegel riprende l’idea di Étienne de La Boétie, secondo cui gli uomini
potrebbero abbandonare la “servitù volontaria”, cioè smettere di
obbedire a chi comanda solo perché sembra avere potere. Se le persone non
riconoscessero l’autorità del sovrano, questo perderebbe il suo potere, perché
il potere dipende dal consenso della gente.
Per La Boétie, quindi, la soluzione è creare un potere
basato su un consenso razionale, in cui chi comanda lo fa perché ha ricevuto
l’approvazione di chi lo elegge o vota. Hegel aggiunge che non è sufficiente il
coraggio per uscire dalla servitù: bisogna capire che il potere ha una forza
attrattiva, quasi ipnotica, che immobilizza le persone e le spinge ad obbedire.

Hegel ci invita a riflettere sul fascino che il potere esercita
e su come questo ci possa portare a preferire la sicurezza alla libertà. Qui
entra in gioco il dilemma tra libertà e sicurezza. Kafka, nel suo racconto La Tana, descrive un essere indeciso tra
il restare al sicuro nella sua tana e l’uscire nel mondo esterno, che è più
pericoloso ma offre anche più libertà. Questo dilemma ci fa pensare al problema
contemporaneo: fino a che punto le nostre istituzioni, per garantirci
sicurezza, possono limitare la nostra libertà?
Hegel esplora questi temi anche attraverso la storia. Nei
tempi antichi, come nell’Iliade, la guerra era una questione di forza e chi non
era disposto a morire per la libertà diventava schiavo. I romani, ad esempio,
facevano derivare la parola “servo” non da “servire”, ma da “servare”, cioè “salvare”: chi preferiva salvare la propria
vita piuttosto che combattere, diventava schiavo.

Infine, Hegel riprende il concetto di lotta tra servo e
padrone. Il servo, che ha scelto di vivere piuttosto che morire, vive nella
paura e lavora per soddisfare i bisogni del padrone, mentre il padrone si gode
i frutti del lavoro del servo senza fare nulla. Questa relazione è alla base
del processo di autocoscienza: il servo, attraverso il lavoro, diventa
consapevole di sé e del suo valore.
L’autocoscienza, secondo Hegel, si sviluppa attraverso la
relazione tra servo e padrone. Il servo non è libero e la sua identità dipende
dal padrone. Si vede come in uno specchio: è servo perché ha un padrone. Allo
stesso modo, anche il padrone si riconosce come tale solo perché domina
qualcuno. Questo riflette una dinamica più generale: le gerarchie sociali e la
disuguaglianza esistono perché ci sono persone che si percepiscono (e sono
percepite) come superiori, mentre altre accettano di servire.
Hegel analizza come questo rapporto di subordinazione
possa essere superato, cioè come si possa passare da una relazione di dominio ad
una di libertà. Secondo lui, il padrone si “rallenta” (diventa meno
attivo) poiché gode senza lavorare, mentre il servo, attraverso il lavoro e la
paura, sviluppa la sua capacità e cresce. Il servo, quindi, si evolve e diventa
attivo, mentre il padrone resta passivo.
Un filosofo di nome Léon Dumont ha studiato la
transizione dalla società gerarchica alla modernità, dove prevale l’uguaglianza
tra gli uomini. Anche Marx interpreta questo passaggio in termini di lotta di
classe: il servo, visto come un proletario, alla fine rovescia i rapporti, e il
padrone (la borghesia) viene sconfitto.
Hegel, tuttavia, non intendeva questo. Secondo lui, nella
società moderna, l’uomo è libero, ma anche schiavo in un altro senso: pur
essendo formalmente libero, dipende dagli altri per soddisfare i propri
bisogni. Questo crea una nuova forma di dipendenza, perché nelle società civili
moderne, gli individui scambiano il proprio lavoro per ottenere ciò di cui
hanno bisogno.
Per Hegel, e in seguito per Marx, il lavoro è ciò che dà
forma all’identità dell’uomo. Il lavoro è ciò che rende l’uomo “umano”. Tuttavia, oggi il lavoro è visto più come una fatica o una
necessità, spesso ripetitiva, perdendo così quella dimensione nobile e
formativa che aveva in passato. Nella precarietà moderna, il lavoro non è più
simbolo di dignità o nobiltà.
Infine, Hegel riprende Aristotele, secondo cui la
schiavitù era naturale: esistono persone che non sono in grado di governarsi da
sole e hanno bisogno di essere guidate. Aristotele intendeva dire che alcune
persone non sono capaci di organizzare la propria vita autonomamente e hanno
bisogno di un aiuto esterno, mentre altre, pur essendo schiavi, avrebbero le
capacità per essere libere.
Nel 1492, con Cristoforo Colombo e suo figlio Diego come
ammiragli delle Indie, inizia lo sfruttamento dei popoli nativi americani.
Inizialmente, ci sono 28 milioni di nativi, ma in un secolo il loro numero
scende a 3 milioni, a causa sia dello sfruttamento intensivo sia delle malattie
portate dagli europei.

Ci fu un lungo dibattito riguardo al fatto se gli
indigeni fossero schiavi per natura. Alcuni sostenevano che fosse giusto considerarli
schiavi e trattarli di conseguenza, mentre altri, come Bartolomé de las Casas,
un noto missionario, affermavano che non fossero schiavi per natura. Nel 1551,
l’imperatore Carlo V convocò una disputa a Valladolid per decidere come
trattare gli indios. Un filosofo aristotelico sosteneva che gli indiani
dovessero essere considerati schiavi e costretti alla conversione forzata,
mentre de las Casas sosteneva che Aristotele non dovesse essere preso in
considerazione e che gli indiani americani avessero diritto a dignità e
rispetto. De las Casas affermava che i veri schiavi per natura erano i neri.
Questa visione ha collegato per secoli i destini di tre
continenti: Africa, America ed Europa. La tratta atlantica degli schiavi neri
dall’Africa fu giustificata in parte perché i neri erano considerati più
robusti e adatti a lavorare nelle piantagioni e nelle miniere d’argento e oro.

Hegel riconosceva che il sistema della schiavitù stava
cominciando a scricchiolare, soprattutto dopo che le colonie francesi ad Haiti
si erano ribellate. Dopo la prima ribellione, nel 1805, i neri conquistarono
una forma di autonomia, ma non senza violenza, massacrando i bianchi per
evitare nuove ingerenze francesi. Questo episodio portò Hegel a riflettere sull’idea
che per ottenere la libertà si debba agire. Per lui, chi mantiene la schiavitù
non è in grado di rischiare la propria vita. Hegel suggerisce che l’epoca del
dominio coloniale oppressivo può finire.
In conclusione, sia nei primi stadi dell’umanità sia
nelle civiltà considerate più primitive, la subordinazione e la servitù sono
fasi necessarie che l'umanità deve attraversare per raggiungere l'autonomia.
Questo percorso non avviene solo attraverso buone intenzioni, ma richiede una
lotta dura contro l’oppressione.
Secondo Hegel, un sovrano moderno non ha vero potere; la vera autorità è il risultato di un lungo processo storico e sociale. La libertà degli individui è il frutto di lotte sanguinose e faticose, e per essere davvero liberi, le persone devono essere consapevoli di sé e agire come individui autonomi. Questo processo di autonomia è una conquista continua e non è mai garantito.
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