Una personalità anticonformista
Ludwig Feuerbach nasce nel 1804 in una famiglia
benestante e colta della Baviera. Studia teologia a Heidelberg e filosofia a
Berlino, dove è allievo di Hegel. Dopo il dottorato a Erlangen, a
venticinque anni inizia a insegnare all’università, conducendo una vita
tranquilla e solitaria, dedicata allo studio.
La sua vita cambia quando, nel 1830, pubblica un libro
intitolato Pensieri sulla morte e l’immortalità (senza
firmarlo), che viene associato a lui. Questo libro gli attira accuse di
ateismo e spirito libero. Nonostante le critiche, Feuerbach non si
scoraggia.
Quando negli anni Trenta si intensificano le repressioni
politiche in Germania, abbandona l’insegnamento per
concentrarsi ancora di più sullo studio.
Nel 1841 pubblica L’essenza del cristianesimo,
che lo rende famoso in tutto il mondo accademico. Pochi mesi dopo la sua
pubblicazione, il libro è discusso ovunque, soprattutto tra i giovani,
che sono entusiasti delle sue idee controverse sulla
religione.
Trascorre gli ultimi anni della sua vita malato e in
difficoltà economiche, paralizzato da un ictus. Muore nel 1872 vicino a
Norimberga.
L’attenzione per l’uomo come essere
sensibile e naturale
Da giovane, Feuerbach è molto colpito dalle lezioni di
Hegel, ma presto si accorge che Hegel non considera il tema che a lui interessa
di più: l’uomo concreto. Per Feuerbach, non si tratta di un soggetto
“spirituale” come quello del Romanticismo, né di un soggetto “razionale” come
quello dell’Illuminismo, ma di un essere “naturale”, che ha la sua essenza nel
corpo e nella materia.
Quando Feuerbach afferma che bisogna mettere l’uomo al
centro della filosofia, vuole dire che la filosofia deve tornare a riflettere
sull’essere umano nella sua dimensione sensibile, che è ciò che lo rende reale.
In Principi della filosofia dell’avvenire, scrive che la realtà, la
verità e la sensibilità sono la stessa cosa: solo ciò che è sensibile è vero e
reale. Il suo obiettivo è “tirare l’uomo fuori dall’idealismo”, criticando la
teologia e proponendo una filosofia dell’uomo, ovvero un’antropologia.
La riflessione di Feuerbach si concentra sull’umanità
vista come un insieme di esseri concreti, naturali, che vivono in una
comunità e hanno bisogni materiali specifici. Per lui, migliorare le condizioni
materiali delle persone (come salute, igiene, cibo) è fondamentale per
migliorare la loro vita spirituale. L’espressione famosa “L’uomo è ciò che
mangia” sintetizza questa idea, sottolineando l’importanza degli aspetti
concreti della vita rispetto alle astratte idee dell’idealismo, che vedeva la
realtà come fondata sulle idee. Questo è il “materialismo naturalistico” di
Feuerbach, secondo cui alla base di tutto c’è la natura, e nell’uomo essa si
manifesta attraverso i bisogni.
La teoria di Feuerbach evidenzia anche un lato
filantropico, sviluppato in risposta alla miseria causata
dall’industrializzazione dell’Ottocento, che sradicava le persone dalle
campagne e le costringeva a vivere in condizioni difficili nelle città.
L’assenza della religione
Il principale problema della filosofia di Feuerbach è la liberazione dell’uomo dai vincoli che lo limitano, soprattutto dal vincolo religioso, che lo rende dipendente da una forza superiore, considerata divina.
Fin da giovane, Feuerbach si è interrogato sulla natura della religione, in
particolare del cristianesimo. La sua opera più importante, L’essenza
del cristianesimo, segna il passaggio da una visione teologica a una
antropologica, mettendo al centro l’uomo naturale e sensibile. In questa opera,
Feuerbach sostiene che Dio non esiste come essere separato e autonomo, ma è il
risultato della proiezione dell’uomo, che attribuisce ad una figura divina le
sue qualità migliori, come la ragione, la volontà e l’amore. Queste
caratteristiche, proprie dell’uomo, vengono elevate all’infinito e diventano le
qualità di Dio. In questo modo, Dio non crea l’uomo, ma l’uomo crea l’idea di
Dio come un riflesso delle sue aspirazioni verso la perfezione. Secondo
Feuerbach, la tendenza dell’uomo a “creare” Dio è legata a cause psicologiche,
come il “sentimento di dipendenza” che l’uomo prova. L’uomo venera ciò da cui
si sente subordinato e attribuisce a Dio il meglio di sé, ma in realtà la sua
vera dipendenza è dalla natura, sia quella esterna (come il clima, gli animali,
le piante) sia quella interna (desideri, impulsi, istinti). Come scrive
in L’essenza della religione, il sentimento di dipendenza dell’uomo
non riguarda altro che la natura, che è alla base della religione.
L’alienazione religiosa
Per Feuerbach, attribuire a Dio le qualità umane e sottomettersi alla sua potenza è una falsificazione della natura umana. In questo modo, ciò che è nobile e universale nell’uomo viene messo fuori di lui, mentre si conservano solo gli aspetti negativi, come la finitezza, l’imperfezione, l’impotenza e la tendenza al peccato. La religione, quindi, provoca una separazione e un impoverimento dell’essere umano, che Feuerbach chiama “alienazione”. L’uomo “alienando” la sua essenza, la proietta fuori di sé in un essere divino, attribuendo a Dio i suoi stessi desideri e aspirazioni, ma dimenticando che le potenzialità che vede in Dio sono le sue stesse. Così facendo, si ritrova impotente e sottomesso. Questa è una condizione “infelice”, come aveva già notato Hegel, che deve essere superata con quella che Feuerbach chiama una “filosofia dell’avvenire”. Questa nuova filosofia si oppone alla vecchia filosofia teologica, che vedeva concetti come “spirito” e “idea” come divinità. L’obiettivo di Feuerbach è che gli uomini riconquistino la loro dignità e il loro valore. Anzi, la lotta contro la religione diventa per lui un compito morale, poiché la religione ha un effetto conservatore che mantiene l’uomo sottomesso in tutti gli aspetti della vita, spirituale e materiale.

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