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La denuncia dei limiti della scienza
Henri Bergson è stato un importante filosofo che ha influenzato
profondamente il pensiero del suo tempo. Molti studiosi di filosofia,
letteratura e arte lo consideravano un vero maestro, e le sue idee sono ancora
oggi presenti nella cultura francese e nella filosofia europea.
Il suo obiettivo era dare importanza agli aspetti della realtà che la
scienza positivista aveva trascurato. In particolare, Bergson critica il modo
in cui la scienza concepisce il tempo. Secondo lui, la scienza non riesce a
cogliere il fluire continuo e creativo della vita, perché tende a semplificare
e "immobilizzare" la realtà, riducendola a schemi fissi e misurabili.
Per superare questo limite, Bergson propone di riscoprire un'intelligenza
intuitiva, cioè un modo di conoscere basato sull'esperienza diretta e profonda
della realtà, invece che sul semplice calcolo. Solo così è possibile
comprendere veramente i fenomeni della storia e dell'esistenza umana.
L'analisi del concetto di
tempo
Bergson inizia la sua riflessione sul tempo partendo dalla concezione della
fisica. Si accorge però che il tempo della scienza è privo di durata, cioè della sua vera essenza.
La scienza lo considera come una sequenza di istanti uguali e misurabili, rappresentabili su una linea retta, come le tacche di un orologio.
L'orologio, infatti, ci mostra solo il momento presente, senza conservare
il passato. Questo tipo di tempo è molto utile nella vita quotidiana: grazie a
esso possiamo organizzare le nostre attività, prendere un treno o gestire
l'economia. Ma è davvero l’unico modo di vivere il tempo? Per Bergson, la
risposta è no.
Oltre al tempo misurabile della scienza, esiste il tempo della coscienza, che non è fatto di istanti separati ma di un flusso continuo. Passato, presente e futuro si intrecciano attraverso la memoria e l'anticipazione. Ad esempio, mentre viaggio su un autobus, la mia mente può essere altrove: un ricordo del passato o un pensiero sul futuro possono essere più vivi e presenti per me rispetto alla realtà del tragitto. In questo senso, il tempo interiore è profondamente diverso da quello dell'orologio e non può essere misurato con ore o minuti.
Il tempo interiore e i suoi
caratteri
Il tempo dello spirito è un tempo interiore con diverse caratteristiche:
- è il tempo della durata → il passato non scompare del tutto, ma resta presente e può riemergere nel futuro;
- è il tempo della vita → riguarda ciò che ha un significato personale per ognuno di noi. Ad esempio, sapere l'orario di un treno può essere utile, ma non ha lo stesso valore di un ricordo importante, come un gesto d'affetto ricevuto anni prima;
- è un tempo qualitativo → non si può misurare con numeri, ma ha valore in base all'intensità e al significato dei ricordi che porta con sé;
- è un flusso continuo → non è diviso in istanti separati, come le ore segnate da un orologio, ma scorre senza interruzioni.
Bergson usa un'immagine suggestiva per descrivere questo tempo interiore:
lo paragona a un flusso continuo,
in cui ogni stato della coscienza contiene il passato e anticipa il futuro.
Finché lo viviamo, non possiamo distinguere i singoli momenti, perché sono
intrecciati tra loro. Solo guardandoli indietro li percepiamo come distinti.
Un altro paragone è quello di un gomitolo
di filo: man mano che viviamo, il nostro passato si avvolge su sé stesso
e cresce con ogni nuovo momento presente. In questo senso, la coscienza è
memoria, perché porta sempre con sé tutto ciò che ha vissuto.
L'ampliamento del concetto
di memoria
Per Bergson, la coscienza è strettamente legata alla memoria, ma in un senso molto più ampio rispetto alla definizione tradizionale. In Materia e memoria, distingue tre aspetti della memoria:
- il ricordo puro (o memoria pura) → è l'intero bagaglio delle nostre esperienze passate, che restano conservate nella coscienza, anche se non ne siamo consapevoli. Questo significa che non viviamo solo nel presente, ma siamo sempre anche il nostro passato;
- il ricordo-immagine → è il momento in cui un frammento del passato riaffiora nella nostra mente e diventa presente. Questo processo dipende dal cervello ed è legato all'azione: ricordiamo ciò che ci serve in un dato momento;
- la percezione → è il modo in cui viviamo il presente attraverso i sensi, in relazione ai ricordi che emergono.
Bergson spiega che le malattie della memoria non cancellano il passato, ma
colpiscono solo la capacità del cervello di riportarlo alla coscienza. Il
ricordo puro rimane intatto, anche se non riusciamo ad accedervi. Per questo,
in alcuni casi di amnesia, quando la funzione cerebrale si ripristina, i
ricordi tornano improvvisamente.
Un esempio sorprendente sono i pazienti che, dopo un coma, si risvegliano
ricordando eventi vissuti mentre erano incoscienti. Questo dimostra, secondo
Bergson, che il nostro passato non si perde mai: è sempre dentro di noi, anche
se spesso rimane nascosto. Paradossalmente, la memoria è più fatta di oblio che
di ricordo.
L'occasione del ricordo
La percezione è la capacità che ci mette in contatto con il mondo esterno,
selezionando solo le informazioni utili per la nostra vita quotidiana. Per
Bergson, il corpo ha il compito di limitare
l'attività dello spirito, concentrandosi solo sul presente e sulle azioni da
compiere.
Memoria e percezione rappresentano due poli opposti:
- la memoria conserva l'intera esperienza della nostra vita, anche se spesso non ne siamo consapevoli;
- la percezione si focalizza solo su ciò che è necessario nell’immediato, portando alla luce solo una piccola parte dei ricordi.
A volte, un semplice suono, un odore o un'immagine possono far riaffiorare
improvvisamente un ricordo nascosto nella nostra memoria profonda. Questa idea
ricorda la teoria di Freud sull'inconscio,
cioè quel deposito di pensieri e ricordi rimossi, ma ancora attivi dentro di
noi.
Con questa teoria, Bergson supera la divisione tra spirito e materia, tra
tempo interiore e tempo fisico: questi due aspetti non sono separati, ma fanno
parte della stessa realtà della coscienza.
Lo slancio vitale e l'evoluzione
creatrice
Il superamento della separazione tra materia e spirito trova la sua massima
espressione nel capolavoro di Bergson, L'evoluzione creatrice (1907). In
quest'opera, il filosofo spiega come la vita biologica e la coscienza siano
entrambe guidate da un'unica forza vitale.
Secondo Bergson, la vita non nasce mettendo insieme elementi separati, come
i mattoni in una costruzione. Al contrario, ha origine da un unico impulso vitale, chiamato élan vital
("slancio vitale"), che si espande continuamente in modo libero e
imprevedibile, generando nuove forme. Questo slancio è un'energia spirituale
che attraversa tutto l'universo, coinvolgendo ogni essere vivente.
Questa forza vitale si manifesta in modi diversi, dando origine alla
varietà delle specie. Ad esempio, il mondo vegetale e il mondo animale
rappresentano due rami distinti dello stesso processo evolutivo, ma mantengono
delle somiglianze strutturali tra loro. Tuttavia, l'evoluzione non segue un
piano prestabilito: non c'è un obiettivo finale, ma solo un continuo sviluppo
creativo, che nasce da un'unica energia iniziale capace di trasformarsi in
molte direzioni.
Bergson paragona questo processo all'esplosione di un proiettile che si
frantuma in mille pezzi, ognuno dei quali può generare nuove esplosioni. Noi
siamo uno di questi frammenti: avremmo potuto essere qualcosa di diverso, ma il
caso e la libertà della vita ci hanno resi ciò che siamo.
Con il concetto di evoluzione
creatrice, Bergson supera l'antica distinzione tra materia (passiva) e
spirito (attivo). Per lui, la realtà è sempre una sola: lo slancio vitale,
che è di natura spirituale, quando si esaurisce si trasforma in materia.
Quest'ultima non è quindi un ostacolo alla vita, ma il risultato della sua
energia che si affievolisce. In questo senso, l'evoluzione è un processo che si
genera da sé, senza un piano prestabilito, in un continuo movimento creativo.
La questione della
conoscenza
La realtà profonda è caratterizzata da uno slancio vitale che è continuo e unitario. Però, nella nostra
esperienza quotidiana, tendiamo a "spezzettare" la realtà, come
facciamo con il tempo, che suddividiamo in momenti separati. Perché succede
questo?
Secondo Bergson, esistono due modi di conoscere:
- conoscenza analitica (o esterna) → possiamo conoscere un oggetto descrivendolo dall'esterno, analizzandone le singole caratteristiche e usando simboli per rappresentarlo. È come scattare tante fotografie di una città e poi cercare di ricostruirne l'aspetto complessivo mettendo insieme le immagini. Questo è il metodo tipico dell'intelligenza, che suddivide e "blocca" gli elementi della realtà, creando un'immagine logica ma parziale. È utile per risolvere problemi pratici e adattarci all'ambiente, ma non ci permette di cogliere la realtà nella sua vera essenza;
- conoscenza intuitiva (o interna) → l'intuizione ci permette di entrare direttamente in contatto con un oggetto, senza dividerlo in parti o rappresentarlo con simboli. È un atto di comprensione diretta e immediata, che ci fa vivere la realtà dall'interno. Per esempio, se voglio davvero conoscere una città, invece di affidarmi a foto e mappe, dovrei camminarci dentro, esplorarne le strade e respirarne l'atmosfera. Questo è l'unico modo per capire davvero la vita e la coscienza, perché ne rispetta la continuità e l'unità.
La contrapposizione fra metafisica
e scienza
L'intuizione è fondamentale
per l'arte e la metafisica, che Bergson considera la
vera "scienza del reale". Secondo lui, il motivo per cui molti
filosofi hanno criticato la metafisica, ritenendola un'illusione senza
fondamento, è che hanno cercato di comprenderla con l'intelligenza, uno strumento utile per la scienza e la tecnica, ma
inadeguato per cogliere l'essenza profonda della realtà.
Tuttavia, Bergson non svaluta la
scienza, anzi, la considera essenziale per la vita quotidiana e il
progresso. Prima di poter riflettere sulla realtà, infatti, l'uomo deve vivere
e agire nel mondo. Il problema nasce quando si cerca di usare la scienza per
spiegare aspetti della realtà che solo l'intuizione può cogliere. La scienza è utile per creare strumenti e
migliorare le condizioni di vita, ma non può rivelarci la natura profonda della
vita e della coscienza.
L'intuizione, però, è
difficile da sviluppare, perché siamo abituati a ragionare con l'intelligenza
per risolvere problemi pratici. Per riuscirci, bisogna cambiare prospettiva,
osservare il mondo in modo più libero e immediato, senza fare affidamento su concetti e parole. Secondo Bergson, i
concetti e il linguaggio sono strumenti dell'intelligenza che spezzettano e
semplificano la realtà, distorcendola. Per questo, la vera essenza della realtà
non può essere spiegata a parole o con
concetti fissi.
Bergson scrive: "Intuizione è la
simpatia per cui ci si trasporta all'interno di un oggetto, fino a coincidere
con ciò che ha di unico e, quindi, di inesprimibile".
Questa idea lo porta a una difficoltà: come comunicare un pensiero che, per sua natura, è inesprimibile?
Bergson prova a farlo non con spiegazioni razionali, ma attraverso immagini e
metafore, proprio come fanno gli artisti. Per questo motivo, il filosofo ha un
grande interesse per l'arte, che
considera un vero modello di conoscenza, e la bellezza del suo linguaggio gli
fece vincere il Premio Nobel per la
Letteratura.
La morale e la religione
Nella sua ultima opera, Le due fonti della morale e della religione (1932), Bergson applica alla società le stesse idee che aveva usato per descrivere il rapporto tra slancio vitale e materia. Egli distingue due tipi di società:
- la società chiusa, autoritaria e rigida, in cui prevalgono il conformismo e la paura del cambiamento. Qui domina la "morale dell’obbligo", che spinge le persone ad adattarsi alle regole del gruppo senza metterle in discussione. L'obiettivo principale è mantenere l'ordine e la stabilità;
- la società aperta, basata sulla libertà e sulla creatività, dove vige la "morale assoluta", che spinge l'umanità a evolversi e a trovare nuove forme di convivenza e collaborazione per il progresso sociale.
A queste due società corrispondono due tipi di religione:
- la religione statica, che usa miti e superstizioni per rassicurare le persone e proteggerle dalle loro paure (come la morte e l'incertezza della vita);
- la religione dinamica, più rara, che si manifesta nella vita dei mistici. Essa si basa sull'amore e sulla partecipazione allo slancio creatore della vita, avvicinando l'uomo a Dio, che per Bergson è identificato con lo stesso slancio vitale.
Bergson vede nella mistica e nell'amore l'unico rimedio ai problemi morali e sociali del mondo, dominato dalla tecnica e dalla meccanizzazione. Egli spera che sempre più persone vivano questa esperienza mistica, diffondendo nella società un'energia "divina" capace di trasformare radicalmente l'umanità.
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