I critici fanno risalire la svolta del pensiero di Heidegger al 1937, con
lo scritto Hölderlin e l'essenza della poesia. Heidegger riconosce come errore
fondamentale del pensiero occidentale – compreso il suo iniziale – il
tentativo di comprendere l'essere a partire dagli enti, soprattutto
dall'uomo. La filosofia occidentale, identificata con la metafisica, ha
costantemente negato l'essere, concentrandosi invece su enti come Dio,
il soggetto, la natura o la tecnica.
Deluso dai limiti dell'analitica esistenziale, Heidegger giunge alla
conclusione che l'essere non può essere compreso a partire dagli enti.
Occorre allora una nuova comprensione, non-metafisica, dell'essere, che
non lo riduca a mera presenza o a ente supremo. È necessario riconoscere la differenza
ontologica tra essere ed ente, cioè l'essere come qualcosa di radicalmente
altro rispetto agli enti.
Superare la metafisica implica quindi anche superare il suo linguaggio.
Heidegger avverte l'esigenza di un nuovo modo di pensare e di esprimersi,
capace di rispettare l'essere nella sua trascendenza e alterità, come
ciò che sfugge alla totalità degli enti.
Il tentativo di uscire dalla logica metafisica
Per uscire dall'impostazione metafisica, Heidegger approfondisce il
concetto di "fondamento", secondo cui ogni ente ha una causa che
ne spiega il principio originario. In questo contesto, l'esserci viene
visto come progetto: un'apertura in cui gli enti trovano significato.
L'esserci, infatti, appare come il fondamento della totalità degli enti,
che assume senso solo in relazione alla sua progettualità. Tuttavia, è anche un
fondamento infondato, perché è un «progetto gettato», cioè una
combinazione di trascendenza (capacità di superare la realtà oggettiva)
e contingenza (esistenza data passivamente).
Da qui Heidegger conclude che l'uomo, pur essendo il punto da cui ogni
fondazione è possibile, non può riconoscersi come fondamento ultimo del
mondo, poiché esiste in un'apertura (l'essere-nel-mondo) che non è
stata aperta da lui.
Questa apertura, nella nuova prospettiva ontologica, è attribuita all'essere,
che ne è la causa originaria e la cui trascendenza e differenza
rispetto all'ente la rendono il vero fondamento, prima e al di là
dell'uomo.
L'«orizzonte» dell'essere
Con la svolta heideggeriana, l'attenzione si sposta dall'uomo
all'essere: l'uomo perde la sua centralità, e per questo si parla di "antiumanismo".
L’uomo non è più un artefice assoluto del senso, ma un partecipe di un
processo di auto-manifestazione dell'essere, che "getta" il progetto
dell’esserci. L'essere apre un mondo solo tramite l'uomo, creando un rapporto
di espropriazione-appropriazione: l'uomo dipende dall'essere, ma anche
l'essere ha bisogno dell'uomo per aprirsi.
L'essere, però, è trascendente e non può diventare
oggetto di conoscenza diretta, sfuggendo a ogni definizione. Per questo
Heidegger usa allusioni e metafore, descrivendo l'essere come:
- illuminazione, perché rende visibili gli enti;
- orizzonte, cioè la totalità che precede e trascende gli enti;
- apertura, dove uomo e cose sono co-implicati;
- evento,
ciò che fa accadere e istituisce le aperture storiche in cui l’uomo si
trova.
La concezione della tecnica
Heidegger approfondisce il tema della tecnica, che rappresenta per
lui l'esito estremo della metafisica. La tecnica è la modalità storica
con cui l'essere si manifesta oggi: è l'orizzonte in cui l'uomo
moderno attribuisce alle cose un significato prevalentemente strumentale.
Nella cultura occidentale, l'essere si è progressivamente negato, in
un processo definito nichilismo (già analizzato da Nietzsche). La
tecnica è la forma ultima di questa nullificazione del senso dell'essere,
e Heidegger la chiama Gestell (impianto, imposizione), cioè il "porre
tecnico" che riduce la realtà a una grande macchina organizzata razionalmente,
senza più mistero.
Questo dominio tecnico nasce dalla tradizione filosofica occidentale, che
ha sempre privilegiato la volontà umana di dominare il mondo, rendendolo "a portata di mano". La tecnica e la scienza sono strumenti per assoggettare
la natura, focalizzandosi sui mezzi e dimenticando i fini, imprigionando
l’uomo in una logica di dominio calcolante e strumentale, priva di riflessione
sui valori.
Tuttavia, l'oblio dell'essere che caratterizza questo orizzonte
nichilistico non è una scelta umana, ma una forma storica di apertura data
dall’essere stesso, che si manifesta come un occultamento progressivo.
Secondo Heidegger, l'epoca della metafisica compiuta e della tecnica è però
giunta al termine. Si apre una nuova età post-metafisica e
post-filosofica, in cui il pericolo della tecnica contiene anche una
possibile via di salvezza.
La via d'uscita dal nichilismo
Nell'epoca del nichilismo, che Heidegger chiama «tempo degli dei
fuggiti» e «povertà del mondo», la via d'uscita non può venire dalla ragione o
dalla filosofia, che sono all'origine dello smarrimento. Occorre invece
rivolgersi alla poesia, poiché i poeti (come Hölderlin) hanno già
attraversato questo cammino e possono indicarci la strada.
Heidegger sostiene che dobbiamo accettare e percorrere fino in fondo la via
verso il nulla – la distruzione dei valori e la riduzione dell'esistenza
a manipolazione tecnica – perché è proprio nel nulla che può tornare a
manifestarsi il vero volto dell'essere.
Il nulla, estraneo alla logica e alla scienza, non è qualcosa di
calcolabile o utilizzabile, ma ci riporta all'essere come trascendenza,
cioè come "altro" rispetto agli enti particolari (Dio, uomo, anima, libertà,
società).
L'essere che emerge dal nulla è quello cantato dai poeti: un essere intero,
eterno e sacro, simile alla natura, che sottratta alla tecnica può tornare a
essere fonte di vita, misteriosa e insondabile, celebrata dai miti antichi.
La concezione dell'arte
Nel pensiero dell'ultimo Heidegger, la poesia e l'opera d'arte
hanno un ruolo fondamentale perché rappresentano la creatività che permette
all'uomo di partecipare all'istituzione di nuovi orizzonti di senso.
L'opera d'arte non è un semplice oggetto da usare, ma una «messa in opera della
verità» che fondamenta una nuova apertura, offrendo una luce rinnovata
sulla totalità degli enti.
A differenza degli oggetti comuni, l'opera artistica attira l'attenzione
su di sé e non si esaurisce in un unico significato strumentale, ma è inesauribile
e ricca di significati da scoprire. Heidegger parla di una dialettica tra
«mondo» (la chiarezza e il senso che l’opera disvela) e «terra» (il fondo
oscuro e misterioso che resta nascosto).
L'artista, pur essendo creatore dell'opera, è soprattutto un'occasione
per la manifestazione di una verità che lo trascende e si rinnova
continuamente. Questa visione si oppone alla metafisica, che invece
tendeva a eliminare il mistero, rendendo tutto calcolabile e controllabile.
La parola come luogo dell'accadere dell'essere
Heidegger attribuisce alla poesia
un ruolo centrale, perché riconosce nella parola l'essenza di tutte le
arti. Per lui, l'apertura originaria dell'essere avviene nel linguaggio,
che è il luogo in cui si manifesta la nostra esperienza del mondo e la
precomprensione degli enti, poiché solo attraverso la parola le cose assumono
senso e valore.
Il linguaggio è definito da
Heidegger «la casa dell'essere», poiché è il luogo in cui l'essere si manifesta
e apre un orizzonte condiviso di significati entro cui l'uomo si trova a
esistere. L'essere parla all'uomo prima ancora che egli pronunci parole, e il
parlare umano risponde a questo richiamo.
Tuttavia, il linguaggio non
sempre conserva questo potere creativo: spesso si riduce a semplice strumento
comunicativo all'interno di aperture storiche già date, come nella tecnica dove
diventa mera chiacchiera. Solo nel linguaggio poetico il linguaggio
riacquista la sua forza originaria, permettendo alle cose di accedere al loro
essere, restituendo loro un senso profondo, vivo e inesauribile, rinnovando
così la realtà in modo autentico.
L'ascolto del linguaggio
Per Heidegger, andare «alle cose stesse» significa soprattutto andare
«verso il linguaggio», considerato la via per avvicinarsi all'essere.
Il pensiero diventa così riflessione sul linguaggio e sui suoi significati
nascosti, ad esempio attraverso l'etimologia, che rivela la storia
di disvelamento e occultamento dell'essere contenuta nelle parole.
Il linguaggio è un processo
infinito di appello e risposta tra uomo ed essere, in cui l'interpretazione
è un evento ontologico che permette all'essere di manifestarsi tramite
la parola umana. L'essere non è Dio né un fondamento metafisico, ma
una realtà misteriosa che si coglie soprattutto nella voce dei poeti, i
quali accennano al sacro e al nulla tramite simboli e metafore.
L'uomo deve diventare «pastore» e «custode» dell'essere, cioè prendersene cura con un pensiero vicino alla poesia, capace di ascoltarlo senza ridurlo a sistema o oggetto, rispettandone la trascendenza e il fondo oscuro che rimarrà sempre in parte inesprimibile.
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