Uno dei pensieri più influenti del Novecento
Jean-Paul Sartre
sviluppa un esistenzialismo ateo e immanentistico, diverso da quello di Kierkegaard,
Jaspers e Heidegger, che trovavano nella fede o nella trascendenza
una risposta al disagio esistenziale. Per Sartre, invece, la soluzione
va cercata solo nell'uomo, in un'ottica umanistica.
Rifiutando gli ambienti accademici, preferiva fare
filosofia nei caffè parigini, diventando una figura centrale della
cultura francese e impegnandosi anche politicamente contro imperialismo,
colonialismo e conformismo.
In dialogo costante con Simone de Beauvoir, si
avvicinò anche al femminismo.
È stato uno dei pensatori più influenti del Novecento
e autore di opere fondamentali come:
- L'essere
e il nulla (1943);
- La
nausea (1938);
- Il
muro (1939).
L'analisi della coscienza
Nell'opera L'essere e il nulla, Jean-Paul Sartre
affronta le grandi domande dell’esistenzialismo, come "che cos'è l'essere?" e "che cos'è l'uomo?", seguendo il metodo della fenomenologia.
Secondo Sartre, la coscienza è sempre coscienza di
qualcosa di esterno a sé ed è essa stessa l'io: non è posta da
altro, ma coincide con il soggetto. Da qui deriva una distinzione
fondamentale:
- le cose
sono essere in sé: oggetti immobili, inconsapevoli,
semplicemente presenti;
- la coscienza,
invece, è essere per sé: trasparente, consapevole, presenza
a se stessa.
La coscienza ha la capacità di trascendere la realtà
e la situazione in cui si trova, e questo la rende libertà: può negare
ogni limite, attribuire nuovi significati al mondo, superare
l'esistente ed elaborare progetti nuovi.
Per questo motivo Sartre afferma, con un'immagine ripresa da
Heidegger, che «la coscienza è il nulla»: è nulla perché può "nullificare"
i dati di fatto, ovvero trasformarli e dar loro un nuovo senso.
L'angoscia della scelta
Per Jean-Paul
Sartre, la libertà dell'uomo non è una condizione positiva, ma una condanna:
l'uomo è condannato a essere libero, poiché non ha scelto di esistere ma
si trova gettato nel mondo, costretto a scegliere continuamente,
con il rischio costante di errore e fallimento.
Nel saggio L'esistenzialismo è un umanismo, Sartre
afferma che l'esistenzialismo è umanistico perché pone l'uomo al
centro, senza più Dio o valori assoluti. Dopo la "morte di
Dio" annunciata da Nietzsche, l'uomo si trova solo, senza
riferimenti morali o certezze: deve inventare i propri valori e costruire
da sé il senso della vita.
Per Sartre:
- la
vita non ha senso a priori: prima di essere vissuta, non è nulla;
- l'uomo
è solo ciò che sceglie di essere: l'esistenza precede l'essenza;
- egli
è interamente responsabile di ciò che è e di ciò che diventa.
Questa responsabilità assoluta – verso sé stesso,
verso gli altri, verso il mondo – genera angoscia e disperazione,
perché l'uomo si confronta con l'infinità delle possibilità e la necessità
ineludibile della scelta.
La nausea di fronte all'esistenza
Per Sartre, l'uomo è sempre responsabile, anche di
fronte a eventi che sembrano indipendenti dalla sua volontà. Se
partecipa a una guerra, ad esempio, quella è la sua guerra, perché, non
opponendosi, ha accettato di farne parte. Anche se non ha scelto
di nascere, è comunque responsabile della propria esistenza, per come
la vive: può vergognarsene o esserne orgoglioso.
Questa possibilità di assumersi la responsabilità
della propria vita rappresenta sì la libertà umana, ma anche la sua condanna
più profonda, come una prigione da cui non si può fuggire.
Questa visione dell'esistenza è rappresentata nel romanzo La nausea, dove il protagonista Roquentin prova una profonda estraneità verso il mondo. Ogni cosa – un giardino, una città, perfino sé stesso – gli appare superflua, gratuita, priva di senso.
Il mondo risulta:
- assurdo;
- senza spiegazioni;
- senza
riferimenti o valori stabili.
In questo contesto, l'uomo, gettato nel mondo senza
fondamento, è costretto a diventare lui stesso il fondamento del senso.
Il conflitto con gli altri e la dialettica storica
Per Sartre, gli
altri sono estranei alla coscienza, proprio come le cose. Tuttavia,
a differenza degli oggetti, gli altri sono coscienze libere, capaci a
loro volta di "oggettivare" me, cioè di trasformarmi in un
oggetto ai loro occhi. Questo crea un inevitabile conflitto tra
libertà individuali.
Un esempio di questo conflitto è il sentimento di
vergogna, che nasce quando vengo guardato da un altro: attraverso il
suo sguardo, mi sento oggetto della sua coscienza e quindi spogliato
della mia libertà. Sartre analizza questo nel celebre passo in cui, dopo un
gesto volgare compiuto spontaneamente, l'essere osservato improvvisamente da
qualcuno genera vergogna, perché il mio gesto diventa qualcosa di "aderente" a me, visibile, giudicabile.
Secondo Sartre, lo sguardo dell'altro mi "ferisce",
perché rivela la mia vulnerabilità, la "nudità" del mio essere.
Questo concetto richiama in modo laico il peccato originale: come Adamo
ed Eva, l'uomo prova vergogna perché scopre di essere oggetto agli
occhi di un altro.
Sartre arriva così alla celebre affermazione: «l'inferno
sono gli altri», contenuta nella pièce A porte chiuse (1945). Non
significa che gli altri vadano rifiutati, ma che la relazione con loro è
inevitabilmente conflittuale, perché:
- gli
altri mi espropriano come soggetto,
- ma
anche mi rivelano a me stesso: posso conoscermi solo attraverso
o contro di loro.
Questa tensione rende l'esistenza alienata e instabile, segnata dall'estraneità radicale tra le coscienze.
La sintesi tra esistenzialismo e marxismo
Dopo la Seconda
guerra mondiale, Sartre si avvicina al marxismo, cercando di fondere
esistenzialismo e lotta di classe, ma distaccandosi dal materialismo
dialettico sovietico, che vedeva la storia come un processo dominato dalla
necessità.
Nella sua opera incompiuta
Critica della ragione dialettica (1960), Sartre tenta una sintesi tra
libertà individuale e struttura sociale:
- l'individuo resta centrale: è libero, responsabile e le sue azioni determinano l'efficacia della rivoluzione;
- la storia non è predeterminata, ma nasce dalle scelte personali;
Tuttavia, esiste il rischio che la dialettica storica si trasformi in una realtà rigida e totalizzante, dove gli uomini diventano oggetti, come accade:
- nel capitalismo, dove il lavoro aliena l'uomo dai suoi prodotti;
- nel post-rivoluzione, quando il sistema burocratico reifica di nuovo l'individuo (es. Stalinismo).
Sartre distingue
due dinamiche sociali:
- il gruppo: insieme libero e unito da un obiettivo comune (es. la rivoluzione). Ogni membro è sia capo che gregario, legato agli altri da un'identificazione reciproca;
- la serie: collettivo passivo
e isolato, tipico della società borghese (es. lavoratori
alla catena di montaggio), dove gli individui sono serializzati
e privati di soggettività.
Il pericolo è
che, finita la fase rivoluzionaria, il gruppo si dissolva nella serie, specie se si affida al
controllo, alla gerarchia e all’obbedienza, annullando la libertà
individuale.
Per evitare questo, il gruppo deve restare vigile e rinnovare continuamente la sua scelta di libertà, mantenendo viva la coscienza e la responsabilità individuale.

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